Supponiamo che due amiche stiano partendo assieme per una
vacanza alle isole Canarie.
Mentre stanno facendo il viaggio in aereo, una delle due
mostra chiari segni di ansia, mentre l’altra invece si sente molto contenta.
Come mai questa differenza nel loro stato d’animo, malgrado entrambe stiano
vivendo la stessa identica situazione?La prima amica sta pensando che è pericoloso viaggiare in
aereo, in quanto potrebbe precipitare e non ci sarebbe nessuna possibilità di
scampo e, inevitabilmente, si sente molto agitata.
La seconda, invece, si sente contenta perché sta pensando
alla bella vacanza che l’aspetta, a come sarà bello starsene in spiaggia a
nuotare e prendere il sole e a tutte le cose belle che potrà gustarsi.
Quindi, pur trovandosi
nella medesima situazione, provano emozioni diverse a causa dei diversi
pensieri che passano nella loro mente.
Questo non significa che sia sbagliato in assoluto provare paura: si tratta di un “allarme” che la nostra mente ci lancia perché pensa di essere in pericolo e quindi ci vuole salvaguardare. L’ansia generalizzata è un’altra cosa, ma non è mia intenzione affrontare qui un tema così complesso.
Fatta questa debita premessa, questo piccolo aneddoto ci fa riflettere su due aspetti importanti in merito alle emozioni che viviamo giornalmente sul lavoro e non solo.
Il primo è che non esistono emozioni positive o negative, esistono emozioni funzionali e disfunzionali ai nostri obiettivi.
Il secondo è che se modifichiamo l’elaborazione mentale di ciò che ci accade, modifichiamo di conseguenza anche l’emozione che ne deriva.
Se penso che il mio collega o collaboratore non fa ciò che gli chiedo perché mi vuole mancare di rispetto, la mia emozione sarà di rabbia, disprezzo e questo sarà certamente disfunzionale al raggiungimento degli obiettivi di team.
Se invece penso che non agisce così apposta, ma che ha bisogno di supporto e di crescere professionalmente, l’emozione che proverò sarà probabilmente di fastidio, ma cercherò anche di supportarlo.
Questo è funzionale agli obiettivi professionali.
L’evento scatenante è lo stesso, ma l’esito è assolutamente diverso, ed è frutto di quella che in psicologia e quindi nel coaching si chiama ristrutturazione cognitiva.
Questa ristrutturazione va poi supportata dal cambiamento dei comportamenti quotidiani, e questo ancora una volta è il frutto di allenamento e impegno.
Sono un coach e un formatore, lavoro soprattutto con consulenti di vendita e manager. I miei percorsi sono sia individuali che di team. Contattami per saperne di più: antonio@sanna.coach
Antonio Sanna
Coach | Formatore
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